La Festa dei gigli di Nola, la più antica della nostra regione, si svolge la domenica successiva al 22 giugno, morte di San Paolino, Vescovo di Nola defunto nel 437, cui la festa è dedicata.
La festa trae origine da un evento storico successo nel 410 d.C. in conseguenza dell’invasione di Alarico. Costui dopo aver devastato Roma nel 409 arrivò in Campania causando morte e distruzione, quindi venne anche a Nola seminando anche qui terrore e devastazione. Fu appunto in questa città che catturò molti nolani deportandoli in Africa. Per non essere deportati, alcuni prigionieri pagarono il riscatto. Fu in questa situazione che molti cittadini si rivolsero a Paolino, allora loro pastore. Il vescovo Paolino vendette tutto quello che aveva per pagare il riscatto, finanche la croce episcopale, e quando non aveva ormai più niente, si presentò a lui una misera donna, una vedova a cui avevano fatto prigioniero l’unico figlio. La donna, piangendo e disperandosi, supplicò Paolino di fare qualcosa per suo figlio ma il vescovo non aveva niente da dare e così si offrì ai barbari in cambio del figlio della povera donna. Il Santo fu così deportato in Africa dove fu messo al servizio di un ricco signore in qualità di giardiniere. Dopo alcuni anni di prigionia, durante il quale Paolino ebbe una condotta esemplare, si venne a sapere la vera identità, così il Santo fu liberato e rimpatriato insieme ai nolani con una nave piena di regali. Con grande gioia gli abitanti di Nola andarono incontro al loro Vescovo con ceri ornati da gigli. La tradizione vuole che siano otto le categorie di artigiani, legate alle Arti e Mestieri della città, che andarono incontro a S. Paolino e cioè: «parulani», «pizzicagnoli», «tavernieri», «fornai», «beccai», «calzolai», «ferrai» e «sarti».
Per perpetuare anche dopo la morte del santo il ricordo dei gigli sparsi sul suo cammino al suo arrivo in città, una delegazione di otto cittadini, scelti fra le varie classi artigiane, fu incaricata di ripetere ogni anno la cerimonia, sostituendo ai gigli delle mazze inghirlandate di fiori. Le mazze otto divennero sempre più grandi col passar del tempo. La cerimonia si trasformò in una sfida tra le corporazioni artigiane che si contendevano l’onore di trasportare le mazze per la benedizione, prima nella Cattedrale, poi nell’antistante piazza quando i gigli assunsero dimensioni colossali.
Attualmente i «gigli» sono delle enormi costruzioni in legno, di forma piramidale, simili a guglie, di circa 25 metri di altezza e di circa 40 quintali di peso, realizzati con una complessa tecnica di carpenteria, e successivamente «vestiti», in fogge sempre diverse, di anno in anno, con decorazioni frontali in stucchi di cartapesta, dalle soluzioni estetiche estremamente interessanti. Con la cartapesta l’artista decoratore si sbizzarrisce in tutta libertà: colonne, capitelli, archetti, nicchie, angeli, puttini, bassorilievi, mondature di ogni tipi e simboli vari. Nella «veste» del giglio affiorano reminescenze culturali gotiche, rinascimentali e barocche. Oltre gli otto gigli viene costruita una «barca», anch’essa portata a spalle: vi sono poste la statua di San Paolino e quella del «turco», con una sciabola in mano, che rappresenta i Vandali.
L’organizzazione della ballata dei gigli impegna la comunità nolana per tutto l’anno. Ogni anno viene nominato un nuovo maestro di festa che insieme ai comitati si adopera per finanziare la costruzione dei nuovi gigli organizzando diverse questue. La costruzione dei gigli è affidata alle botteghe dei Tudisco, dei Vecchione e degli Scotti che vantano una tradizione artigianale ormai secolare.
La vestizione dei gigli avviene dinanzi alla casa dei rispettivi «masti di festa», dove le strutture di legno sono state portate sin dalla domenica precedente il 22 giugno. La domenica successiva, cioè il giorno della festa, arrivano le «paranze», le squadre dei portatori non tutti nolani. Vengono infatti anche paranze da Brusciano e da Barra, che danno alla festa una ulteriore connotazione agonistica. Ciascun giglio dispone di una banda al completo, sistemata su una piattaforma posta immediatamente sopra la sua base. Un cantante e un sistema di amplificazione completa l’attrezzatura di ogni giglio. Gli otto gigli più la barca vengono poi issati a spalla e portati a ritmo di musica nella Piazza Duomo di Nola, ciascuno provenendo da un pun¬to diverso della cittadina. Ciò risulta possibile per l’azione combinata dei portatori, dei «caporali», del «capo-paranza» e della banda musicale. A ciascuno compete una funzione e una responsabilità pre¬cisa, secondo il ruolo occupato nella paranza. I portatori (circa 120 per giglio) divisi tra quelli che sono sotto le «varre» (le barre fisse), e quelli che sono sotto i «verricelli» (le barre latera¬li asportabili), «culleranno» il giglio al ritmo delle musiche intonate dalla banda sovrastante; i «caporali» vigileranno sul corretto svolgersi di tutti gli spostamenti del giglio e coadiuveranno il «capo-paranza» nell’esercizio della sua indiscussa e totale autorità di comando.
Il giglio la paranza e la banda risponderanno, in effetti, come un sol uomo, agli ordini del capo-paranza tutte le volte che il giglio dovrà essere bruscamente poggiato, alla voce del «cuoce-cuò», o altrettanto bruscamente issato, al comando del capo-paranza, su di una «battuta» del crescendo di una precisa frase musicale.
L’inizio della processione è una vera gara di forza e di abilità da parte dei «collatori» che, arrivati nella piazza, portano a turno al centro di essa la propria struttura per «salutare» dopo di che tornano indietro. Quindi avanzano man mano verso il centro e quando lo spazio per andare avanti e indietro, il cosiddetto «trase e’ esce», è terminato, con la musica cadenzata, fanno sussultare i gigli in mezzo alla folla festante.
Per tutto il pomeriggio i gigli ballano nelle viuzze strette di Nola, in un clima di crescente euforia che coinvolge tutti in un’ unica partecipazione. E’ difficile immaginare qualcosa di più coinvolgente, e risulta, persino impossibile distinguere tra chi partecipa e chi assiste, in un clima che rende tutti protagonisti di un unico avvenimento collettivo. È sorprendente pure la utilizzazione che dello spazio viene fatta nella festa. Il centro storico della cittadina nolana viene «usato» nel senso pieno della parola, in tutte le sue articolazioni spaziali.
La struttura stessa del giglio è tale che essa attraversa verti¬calmente tutta l’altezza del vicolo: persino l’illuminazione strada¬le viene per l’occasione rimossa e la gente sui balconi, sulle logge ed alle finestre, partecipa dell’avvenimento cogliendolo da una particolare angolazione prospettica, ma pur trovandosi a loro volta in¬seriti in un preciso contesto scenografico.
Questo uso «reciproco» dello spazio e della gente fa sì che la scena non sia solo il vicolo, la piazza, ma pure le facciate, le logge, i cortili.
Ogni spazio viene usato globalmente: ogni slargo, ogni piazzetta sul percorso del giglio permette delle variazioni di ballo, dei pez¬zi di bravura, dei girotondo. La folla fluttua attorno al giglio, la musica si esaspera tra le case, le giurie sono disposte sui balconi, i ragazzi lanciano confetti e coriandoli dall’alto.
In Piazza Duomo tutto assume un tono più solenne: la scenografia è imponente, la folla è immensa e per questo diviene tanto più difficile e àmbito creare il vuoto tra il capo-paranza e il proprio giglio, un vuoto che si carica di tensione e di orgoglio quando più il giglio si allontana e la folla preme.
Oggi, come quindici secoli fa, gli otto gigli che simboleggiano le antiche corporazioni si fronteggiano, la barca è sola sotto il munici¬pio con dentro il turco con la spada sguainata che scorta San Paolino, ritornato di fresco da quel leggendario viaggio in Africa.
Da piazza Duomo i gigli percorrono il primo tratto di via San Felice dove effettuano una «girata» e poi una «ballata» davanti al palazzo episcopale. Giunti a piazza M. C. Marcello affrontano una delle prove più difficili imboccando l’angusta via Notaris, detta anche vico Piciocchi, dove viene ridotto il numero dei collatori rendendo la prova più ardua. L’abilità e l’originalità della paranza nella sua «danza», l’efficacia delle musiche scelte ed eseguite dalla banda, i pregi estetici delle decorazioni dei gigli saranno sottoposti a fine giornata all’esame di una giuria che assegnerà diversi premi decretando il successo dei gigli migliori acclamati dall’intera popolazione e dal gran numero di spettatori accorsi da ogni dove per l’occasione.
Il rapporto con la Chiesa in questa festa è in realtà inesistente. Più probabile risulta l’assunzione della festa nella chiave di solennizzazione di un Santo, nel quadro più generale del processo di assimilazione, di trasformazione o di rigetto operati storicamente dalla Chiesa nei confronti di quei riti e di quei culti agrari legati al grosso corpus di tradizioni culturali precristiane. Il riferimento al Santo lo si legge oggi in ogni caso come un elemento sovrapposto e marginale rispetto alla festa, che continua a mantenere uno spirito sostanzialmente autonomo nei confronti della ipoteca ecclesiastica.
Si tratta di un elemento di non poca rilevanza, se si pensa che la quasi totalità delle feste popolari meridionali è mediata da una gestione ecclesiastica.
Allegra, ma al tempo stesso, sofferta, prova di forza, ma anche di eleganza; modulata sul ballo, ma pure sul comando; di matrice orgiastica, eppure sublimante il sesso, la festa di Noia ci appare, proprio per questo suo contraddirsi, per questo suo essere eccezione e norma nello stesso tempo, la più vitale delle feste.