Raimondo de’ Sangro, settimo Principe di Sansevero, dotto, alchimista e Gran Maestro della Massoneria Napoletana, è certamente il genio più strano, discusso e forse temuto nella vita culturale, sociale e politica della Napoli settecentesca. In vita l’audacia, la libertà di giudizio, l’ironia di cui dette prova gli valsero una diffida ufficiale del Sant’ Uffizio.
La sua opera di scienziato e di artista trova la sua sintesi suprema nella cappella funeraria più singolare di tutta Napoli, un “piccolo scrigno d’arte avvolto in un alone di fascino e di mistero”. Qui è infatti impossibile non provare meraviglia di fronte alle barocche sculture e alle loro infinite simbologie, frutto del multiforme ingegno del principe. O non provare uno stupore ancora maggiore di fronte ai suoi esperimenti di metallizzazione del sangue, realizzati iniettando in due servi moribondi un misterioso composto, coagulante.
Per far conoscere questo complesso personaggio presentiamo questo brano tratto dalla cronaca del viaggiatore e astronomo francese Jean Jérȏme de Lalande, affiliato alla loggia francese delle Nove sorelle, che fa un elenco delle invenzioni del principe sulla base di un colloquio con lui avvenuto nel 1765.
[…] Santa Maria della Pietatella è la cappella sepolcrale dei principi della famiglia di Sangro; è attigua al palazzo ma aperta al pubblico, vi si celebra giornalmente il servizio divino. Fu fondata 150 anni or sono da Alessandro Sangro, patriarca d’Alessandria, ed è una cappella tra le più curiose che vi siano a Napoli; è rivestita dei più bei marmi con profusione e spesa estreme; c’è da intuire che il principe sia stato ben favorito dal gusto e dalla perfezione degli artisti.
Sotto ogni volta c’è un mausoleo con la statua dal vero di qualcuno degli antenati del principe; quella di Paolo di Sangro principe di San Severo è una delle migliori, è resa con verità, il costume di allora è ben osservato. Sotto ciascun pilastro adiacente, c’è il mausoleo della principessa, sposa di colui che sta sotto l’arco: i mausolei delle principesse sono ornati ciascuno da una statua più grande che in natura, che esprime qualche virtù rimarchevole della persona. Una tra le statue più singolari è quella che rappresenta il Pudore, quale attributo posto sul mausoleo della madre dell’ultimo principe; è rappresentata avvolta in un velo dalla testa ai piedi, e si vede la figura come attraverso il velo che è sufficientemente sottile da esprimere tutto il nudo: le grazie della fisionomia e la morbidezza dei tratti vi appaiono come se la vedessimo ancora allo scoperto; quest’opera è ancor più singolare, poiché mai i Greci né i Romani hanno velato per intero il volto delle loro statue e l’abilità dello scultore ne ha reso gli effetti con tale verità, difficile da supporre senza averla vista.
Questa figura è di Antonio Corradini; in quanto alla perfezione dell’arte, non v’è nulla da eccepire; vi è sufficienza d’accordo e di nobiltà nelle proporzioni e nell’ atteggiamento.
Il Disinganno è anch’essa una statua singolare, è del Queirolo; è un uomo impegnato in una grande rete che lavora ad uscirne con il soccorso del suo spirito, espresso da un genio che l’aiuta; la rete è lavorata nello stesso blocco di marmo, ciononostante tocca appena la statua ed il lavoro su questa è fatto attraverso le maglie della rete che gli aderisce in pochissime parti; questa scultura è di fatto un tour de force senza pari; sta sul mausoleo del padre dell’ultimo principe di San Severo ed esprime benissimo la sua conversione; vi sono aggiunti dei passaggi delle scritture che esprimono delle analogie.
In un’altra parte si vede un Cristo nella tomba coperto da un velo. Sembra che il velo sia umettato dai sudori della morte e la figura ha tutta la nobiltà che poteva esigere un tal soggetto. L’intera cornice della cappella ed i capitelli dei pilastri sono fatti con una bella composizione ideata dall’ultimo principe di San Severo, che era molto strano e molto istruito nelle arti, come presto vedremo. Questa composizione assomiglia alla madreperla, soprattutto quando c’è una gran luce; si accorda benissimo con il colore dei marmi gialli, con cui i pilastri ed il fregio sono rivestiti. Due dei locali dell’appartamento sono rivestiti con un mastice particolare inventato dal principe: si usa chiaro come una poltiglia, ma in pochi giorni diventa duro come il marmo; questa composizione è ripartita in comparti di differenti colori che imitano differenti tipi di marmo, sia per il colore che per lo splendore. Questo principe credeva che gli antichi componessero così il granito degli obelischi; per quel che mi concerne, ho confrontato il granito dell’obelisco di Campo Marte con quello che si trova in Francia nelle nostre montagne, l’ho trovato di una si perfetta rassomiglianza che non posso credere ci sia alcuna composizione così conforme alla natura.
In un appartamento al pianterreno si vedono molte cose curiose che sono il frutto dei lavori e del genio inventivo del principe: mi mostrò, per esempio, degli strani esperimenti sui nodi di una sbarra di ferro. Un quadro della Vergine col Bambino, copia di Raffaello, fatta coniane di differenti colori che visto di lato, ben illuminato, mostrava una specie di velluto di lana; un altro che è fatto con cera colorata e privata del suo olio, che mi è parso superiore agli encausti che fa a Parigi il conte di Caylus.
Ci sono molti altri esperimenti di questo tipo di pittura nel palazzo del principe; mi fece vedere la cera composta con la quale mischiava i colori destinati a questi quadri; questa composizione è dissolubile nell’ acqua, in modo che con essa si possono dipingere figure piccole come una normale miniatura. Aveva anche composto una cera vegetale facendo bollire fiori ed erbe comuni e raccogliendo la materia che resta a galla: egli assicurava che questa materia, ricotta più volte, prendeva la consistenza di una cera vergine, che si poteva sbiancare e lavorare come la cera ordinaria.
Il principe di San Severo perfezionò anche la miniatura, come ho visto da una piccola incisione su rame, alla quale aveva dato la bellezza e la vivacità di colore propria della miniatura e la solidità di una pittura ad olio. Chiamava questa specie di pittura Eloidrica e si può mettere su tutti i tipi di metallo o di altre materie; altrimenti la miniatura può essere applicata solo su avorio, pergamena e carta, materie che sono soggette ad ingiallirsi ed ad essere forate dai vermi.
L’arte di stampare delle tavole in diversi colori è una di quelle che questo principe aveva perfezionato; mi fece vedere delle stampe su carta e su raso bianco dove vi erano dei fiori di differenti colori, impressi con un sol rame e con un solo giro di stampa; ugualmente dei libri con caratteri di differenti colori impressi in una soia volta. con una sola forma ed un sol colpo di barra; sembrerebbe che le tavole a colori che M. Gauthier fa a Parigi non abbiano gli stessi vantaggi.
L’arte di colorare il vetro era racchiusa da un segreto pressoché perduto: il principe di San Severo si esercitò con successo: c’erano da lui dei pezzetti di vetro bianco in cui si vedevano differenti colori che penetravano nel vetro, erano chiari e trasparenti come se il vetro fosse uscito dal forno con quegli stessi colori; m’è parso che il suo metodo dovesse essere perfetto quanto quello usato per le antiche vetrate che ammiriamo nelle chiese del quindicesimo secolo. Ugualmente colorava i marmi, ed ho visto da lui tino a 96 campioni di marmo di Carrara colorati in differenti modi: si è approfittato di questo segreto per dare a dei bassorilievi il colore naturale degli oggetti che rappresentano, il che fa un effetto molto singolare. Pervenne anche ad imitare il Lapis Lazuli, in modo che dopo averlo tagliato a pezzetti, appariva impossibile distinguerlo dal vero Lapis: aveva la stessa durezza, lo stesso peso e le vene dorate del Lapis.
Il principe mi disse che la margravia di Bareith a cui aveva donato una lamina, l’aveva fatto provare dai suoi chimici al suo ritorno in Germania; si era riconosciuto che lo spirito di nitro gli toglieva la lucentezza, come al vero Lapis, e che calcinava e non fondeva, come avrebbe fatto il vetro colorato, al fuoco dello smaltatore. Gli era riuscito anche un mastice o stucco, molto più duro della Lastrica, con cui sono pavimentate le terrazze e gli appartamenti di Napoli, e che non è soggetta a fondersi e a screpolarsi.
S’era esercitato anche sulle pietre preziose, sia togliendo loro il colore, senza diminuirne la durezza né la forma, sia esaltandolo in quelle pallide o di una tinta troppo flebile, riuscendovi soprattutto con le ametiste. [… ]
Dirò solo qualche parola su alcune delle scoperte più straordinarie di cui mi parlò il principe, ma sulle quali non potei avere sufficienti chiarimenti per la poca conversazione che io ebbi con lui. l° Una palingenesi naturale e reale di vegetali ed animali, specialmente dalle ceneri di finocchio, che, secondo lui, riprodurrebbero la pianta. 2° Legno e carbone che accesi non danno alcuna cenere e si consumano così lentamente che, dopo esser stati esposti per molte ore alla violenza del fuoco, finiscono per spaccarsi e rompersi. 3° Una specie di carta per le cartucce d’artiglieria che non si accende e non dà alcuna scintilla, ma si riduce immediatamente in carbone. 4° Una lampada che egli assicurava essere inestinguibile e perpetua, sulla quale si possono leggere le sue lettere all’Abate Nollé, stampate a Napoli nel 1753 ed anche la sua dissertazione su di una lampada antica trovata a Monaco; essa apparve nel 1750. Egli è morto dopo il mio viaggio. […]
Bibliografia
J. De Lalande, Voyage d’un Français en Italie en 1765 et 1766, Volume VII, Cap. III, Paris, 1786