Attore di Teatro

«Totò è teatro», afferma Mario Castellani, la sua spalla preferita, «del resto lo interessava solo il teatro vero quello che lui inventava sera per sera davanti al suo pubblico». Egli fu dapprima attore di varietà e di avanspettacolo e poi, negli anni ’40 di rivista. Ma non fu affatto, un attore del cosiddetto “teatro minore”. Se il successo di Totò nacque fuori del teatro borghese e fu decretato da pubblici prevalentemente popolari, tuttavia fu un successo rapidissimo che lo impose subito a pubblici ricchi.
Negli anni ’20 Totò è già uno dei migliori fantasisti italiani e sta elaborando la sua immagine, quella che resterà identica a se stessa, quale il pubblico conosce: bombetta, tight che gli balla addosso, perché il suo corpo ci si possa snodare e raggomitolare dentro. Pensando a questi anni, bisognerà dire che è contemporaneo a Viviani e De Filippo. Suo maestro è Gustavo De Marco, uomo dal fisico mobilissimo e disarticolato. Da lui Totò impara la tecnica e la collega alla tradizione di Pulcinella.
Negli anni Trenta e Quaranta l’avanspettacolo divenne un genere quasi obbligato per gli attori di prosa che passavano di continuo al teatro di varietà e viceversa. Totò non fece passaggi di campo, ma ci pensò su seriamente. «Qualche volta penso di abbandonare il varietà per il teatro» dichiara nel 1940 «Non significa nel mio caso sottovalutare il primo rispetto al secondo, poiché lo stesso varietà con il repertorio che sogno diventa automaticamente teatro».
«C’era in Italia» ha osservato Zavattini «la grandissima tradizione del variété, che era un terreno di sperimentazione e innovazione continua». Totò rimase fedele a questa tradizione facendosi portatore di una teatralità insieme tradizionale e sperimentale: «era un fatto astratto, irripetibile», perché inventato a soggetto. «Penso al Pazzo… Totò vi camminava come le mosche sul muro. Totò nel Pazzo faceva cose che solo un pazzo può fare».
Totò esprime il mondo napoletano in chiave farsesca e tragica e la sua vita, disarticolata è così difficilmente inquadrabile in schemi precisi, come la sua figura, sembra pienamente aderente al personaggio sulla scena.
Quando parlava del suo personaggio il principe de Curtis sottolineava sempre che si trattava di finzione, di teatro; che una cosa era lui e una cosa la maschera che indossava: tanto esagitata e sfacciata, irriverente e maldestra l’una, quanto malinconico e riflessivo, garbato e raffinato l’altro. Eppure egli fu il creatore di questa stupenda maschera cui prestava il suo volto, la sua espressività, la sua poliedrica mimica, con la quale riusciva a esprimere ancor più di quanto già tanto facessero le sue fulminati battute.
L’umorismo di Totò risulta assai spesso velato di una lunare malinconia pulcinellesca non disgiunta da una sfrenata, anarchica e colorata ilarità da scugnizzo. Ma la sua comicità non si limita solo a questo. Essa addirittura si spinge nel linguaggio fino a farne un mezzo di gioco che sovverte il principio di realtà creando effetti comici unici.
Non è un caso che la poesia, certo bella, indubbiamente amata da lui sia A livella, che ironicamente illustra l’arroganza del ricco e l’inutilità del patire di fronte alla morte. Si rivolge a un pubblico popolare che sente la maschera di Totò come la propria, sua l’arte di arrangiarsi, sua la necessità di sopravvivere, sua la lotta tragica contro una natura nemica e un mondo di penuria e sfruttamento.

Bibliografia
Lori S., Da Totò a Troisi, Napoli che ride, Tascabili Economici Newton, Roma 1996
Totò, Siamo uomini o caporali? di A. Ferraù ed E. Passarelli, Capriotti Editore, Roma, 1952
Fofi G., Totò, Samonà e Savelli, Roma, 1972
Guarini R., TuttoTotò, Gremese Editore, Roma, 1991
C. Meldolesi, Fra Totò e Gadda, Bulzoni Editore, 1987
Faldini F., Fofi G, Totò: l’uomo e la maschera, Feltrinelli, Milano, 1977
Totò.Parole e musica, a cura di V. Mollica, Roma, Lato Side, 1982

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