Grammatica napoletana

La lingua napoletana ha profonde radici storiche e per oltre un secolo è stata anche lingua ufficiale del regno di Napoli. Un dialetto, quello napoletano, che era nato come ricorda l’abate Ferdinando Galiani, nel suo famoso Dialetto napoletano pubblicato nel 1779, per essere «quello della maggior Corte d’Italia, destinato ad essere l’organo de’ pensieri de’ più vivaci ingegni» ma che non riuscì a divenire la lingua generale d’Italia poiché la Campania decadde per ragioni storico-politiche.
Sembra quanto mai verosimile, dunque, che davanti alle spinte di letterari e studiosi toscani verso l’italianizzazione del nuovo stato unitario nel Meridione si manifesti, per contraccolpo, una penalizzazione del dialetto napoletano, scacciato per sempre dagli stessi atti pubblici della nazione, dove veniva sostituito dalla lingua spagnola.
Nel suo saggio il Galiani osserva che, perduto il suo primato, il dialetto napoletano, anziché avviarsi a diventare «volgare illustre», scivolò in acque basse, usato da autori che lo consideravano «come unicamente atto a promuovere il riso colle buffonesce e bassissime lepidezze».
A essere chiamati in causa sono proprio i nomi più prestigiosi della letteratura dialettale e barocca napoletana del ‘600 come il Cortese, il Basile, il Capasso e lo Sgruttendio che nelle loro opere avevano portato il dialetto a dignità letteraria.
A prescindere dalle ragioni di natura strettamente linguistica addotte dal Galiani, importa qui sottolineare che questi autori sono da considerarsi non traditori della lingua napoletana, ma poeti e scrittori, consapevolmente dialettali, che scrivevano in una lingua non vincente su scala italiana ma resistentissima e fortemente radicata nel popolo napoletano.
Negli secoli successivi è sorta una fiorente letteratura in napoletano che in alcuni casi è giunta anche a punte di grandissimo livello. Una schiera foltissima di poeti quali Salvatore Di Giacomo, Ferdinando Russo, Roberto Bracco, Libero Bovio, Ernesto Murolo, fino a Raffaele Viviani e oltre ha fatto del napoletano un mezzo universale di espressione.
Anche se questa gran bella lingua, come scrive Raffaele La Capria nel suo saggio L’armonia perduta, ha subito col tempo correzioni e corruzioni varie di pari passo con l’evolversi e lo scadere del costume e il modificarsi degli equilibri sociali.
La documentazione sulla lingua napoletana è ampia basti ricordare i vocabolari di Raffaele Andreoli, Raffaele D’Ambra e di Antonio Altamura. Fondate su di un robusto approccio scientifico sono anche le grammatiche di Raffaele Capozzoli, Nicola De Blasi, Renato De Falco e di Carlo Iandolo.

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