E. A. Mario

«Vi prego, comunicate a Sua maestà che preferisco non essere turbato da questo dono». Sono le parole con cui Giovanni Ermete Gaeta, in arte E. A. Mario, il più prolifico poeta-musicista napoletano, rifiutava cortesemente l’orologio che Vittorio Emanuele III intendeva regalargli come segno concreto della sua gratitudine per i versi e la musica de La leggenda del Piave.
Era nato il 5 maggio 1884 in un basso di vicolo Tutti i Santi, nel popoloso quartiere Vicaria, attiguo al locale in cui il padre esercitava la professione di barbiere. In quel retro della bottega paterna visse con un numero infinito di persone. In un sol letto a due piazze dormiva Giovanni con il fratello Ciccillo e con le sorelle Agata e Anna; più in là sparpagliati in altre due stanze stavano gli zii paterni: zia Carmela, «una vecchia che non dava mai un soldo ai nipoti», zia Immacolata, «molto sempliciona e bonacciona», zio Saverio, «con la faccia pizzicata dal vaiolo» e zia Agostina, «che fece tutto quello che potè fare».
Dopo aver frequentato le elementari i genitori acconsentono al suo desiderio di diventare capitano di marina facendogli frequentare l’istituto nautico, ma la cosa ha breve durata. Un po’ la passione per la musica, un po’ la voglia (o la necessità) di lavorare lo inducono ad abbandonare gli studi e ad impiegarsi come postino nella succursale di piazza Ferrovia.
Legge e studia molto ma più d’ogni altra cosa fa presa su di lui l’epopea risorgimentale con i suoi eroi, i suoi ideali più o meno realizzati. Nel 1905 compone una “Canzone a Mazzini”, con prefazione della poetessa veneta Vittoria Aganoor, che viene pubblicata su Il Lavoro di Genova e che egli stesso depone sulla tomba del grande genovese.
Sceglie lo pseudonimo di E. A. Mario dopo aver composto le prime poesie: E. per Ermete, A. in onore di Alessandro Sacheri, caporedattore de Il Lavoro che ha subito creduto in lui, Mario come segno della sua ammirazione verso il patriota Alberto Mario.
È per merito di Raffaello Segré, noto autore di canzoni, che Mario incomincia a comporre sistematicamente. Segré lo conosce allo sportello dell’ufficio postale dove lavora e gli propone di scrivere per lui. Da quel momento, siamo nel 1904, per Mario sarà un crescendo di successi, come poeta, come musicista, come editore. Dopo il suo primo successo Cara mammà, musicata dal maestro Segrè e pubblicata a Milano presso Ricordi i più grandi editori e i più affermati musicisti incominciarono a contenderselo. Due grandi successi, nel 1912, editi da Bideri. Il primo è Fontana all’ombra:
‘Sta funtanella
Ca mena ’a tantu tiempe ll’acqua chiara
Ha fatto ’a cchiù ’e ’nu seculo ’a cummara:
Piccirinella,
Venette a nonna a bevere, e ce steva
’Nu figluilillo, a ll’ombra, ca veveva…

Il secondo è Maggio sì tu!:
Maggio, si’ tu
ca st’aria doce vaje profumanno!
Quanta canzone faje cantà a ddoie voice!

Nel 1918 in uno dei momenti più difficili della grande guerra scrisse di getto i versi e la musica di la Leggenda del Piave che all’epoca assurse quasi a inno nazionale. Fu una trovata felice, di quelle che nascono quasi per caso e suggellano un’epoca: migliaia di soldati piansero, migliaia morirono con quelle parole sulle labbra: «Il Piave mormorò: Non passa lo straniero».
Nel 1919 sposa Adelina, figlia di un’attrice molto famosa all’epoca, Leonilde Gaglianone, che gli darà tre figlie: Bruna, Delia e Italia. Di quello stesso anno, 1919, sono una serie di nuovi successi, quali Le rose rosse, Tarantellona e Santa Lucia luntana, una splendida canzone di emigrazione, monumento della nostalgia per la propria terra:
Partono ‘e bastimente
pe’ terre assaje luntane,
cantano a buordo e so’ napulitane!
Cantano pe’ tramente
’o golfo già scompare,
e ’a luna, ’a miezo ’o mare,
’nu poco ’e Napule
lle fa vede’…

La canzone, divenuta l’inno degli emigranti, ebbe molta importanza a livello sociale, perché portava alla luce la realtà dell’emigrazione. Nel 1922, poi, il prolifico cantore, lancia Canzone appassionata:
N’albero piccirillo aggiu piantato
Criscennolo cu’ pena e cu’ sudore…
’Na ventecata già mme ll’ha spezzato,
E tutte e fronne cagneno culore…
Cadute so’ già ’e frutte: E tutte quante
Erano doce e se do’ fatte amare…
Ma ’o core dice: Oi giuvinotto amante.
’E cose amare tienele cchiù care…
E, amara comme si’,
Te voglio bene…
Te voglio bene
E tu me faje muri!

È autore delle musiche di molte sue canzoni e compose musiche anche su testi di altri autori. La prima s’intitola Core forestiero ed è di Alfredo Melina. L’altra canzone Dduje Paravise, fu scritta da Ciro Parente:
Duje viecchie prufessure ‘e cuncertino,
’Nu juorno nun avevano che fa’.
Pigliàjeno ’a chitarra e ’o mandulino
e’ mParaviso jèttero a sunà.

Poi nel 1944 l’ultimo prodigio con Tammurriata nera scritta da Eduardo Nicolardi:
Io nun capisco ’e vvote che succede…
E chello che ca se vede
Nun se crede! Nun se crede!
E’ nato ’nu criaturo niro niro
E a mamma ’o chiamma Giro:
Sissignore, ’o chiamma Giro!

È sicuramente da annoverare, insieme a Salvatore Di Giacomo, Ernesto Murolo e Libero Bovio, tra i massimi esponenti della canzone napoletana della prima metà del Novecento ed uno dei protagonisti indiscussi della canzone italiana dal primo dopoguerra agli anni cinquanta, sia per la grandissima produzione – dovuta alla sua felice ed inesauribile vena poetica – (scrisse oltre duemila canzoni) che alla qualità delle sue opere.
Per E.A. Mario la Poesia è stata un «Vangelo», un atto di fede senza fine, una dedizione continua e assoluta. Dopo la morte della moglie subisce un crollo psicologico da cui non si riavrà fino alla morte avvenuta il 24 giugno 1961, giorno del suo onomastico. Aveva 77 anni.

Bibliografia
Alberto Consiglio (a cura di), Antologia dei poeti napoletani, Milano, Mondadori, 1973
Bruna Catalano Gaeta, E.A. Mario. Leggenda e storia, Liguori Editore, Napoli, 1989
Salvatore Palomba, La poesia napoletana, Napoli, L’ancora del Mediterraneo, 2003
Vittorio Paliotti, Storia della canzone napoletana, Roma, Newton & Compton, 2004.

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