Vincenzo Russo

Nato a Napoli, nel quartiere Mercato il 16 marzo 1876, era figlio di un ciabattino e di una modesta operaia, estremamente povero e incolto, e sarebbe rimasto del tutto analfabeta se, rincorrendo un disperato sogno di benessere, non si fosse ostinato, già adulto, a frequentare i corsi serali di una scuola elementare per lavoratori.
Dovette cominciare piccolissimo il mestiere di ciabattino imparando a risuolare scarpe, a inchiodare tomaie, a tinteggiare stivaletti. Morto il padre, per contribuire al bilancio familiare, si ritrova a lavorare nella bottega dei fratelli Partito, un negozio di guanti dove incontra il maestro Eduardo Di Capua che darà una svolta decisiva alla carriera artistica del giovane Vincenzo. Da questa collaborazione nascono alcuni tra i più grandi successi dell’epoca. Scrissero insieme “Chitarrata” che si classificò al secondo posto a Piedigrotta, seguita da Nfama, ’Nterra ’a Pusilleco e A serenata de’ rose scritta nel 1899:
È mezanotte, e cu ’stu mandulino,
I’ canto a ’stu barcone chino ’e rrose.
Saglie n’addore arancio d’’o ciardino
E st’aria doce vene a prufumà.

Poi è la volta di Torna maggio, scritta l’anno successivo, un autentico inno alla vita:
Rose! Che belli rrose
Torna maggio!
Sentite addore ’e chisti sciure belle,
Sentite comme cantano ’aucielle…
E vuje durmite ancora…
Ih che curaggio!

Un altro grande successo fu Maria Marì, che diede al poeta una fame senza limiti. La canzone esordisce con questi meravigliosi versi:
Arapete, fenesta,
Famme affaccià a Maria!
Ca stongo ’mmiez’â via
Speruto d’ ’a vedè.

Nel 1900 firma con Di Capua il suo capolavoro: I’ te vurria vasà. È fra le più belle canzoni napoletane, la melodia candida e innocente vola, nella strofa in minore e nel ritornello in maggiore, verso i cieli più tersi dell’arte popolare. L’umile calzolaio l’ha dedicata a una ignota ragazza che lui non solo non oserà svegliare, ma nemmeno avrà il coraggio di guardare:
I’ te vurria vasà
Ma ’o core nun m’ ’o dice ’e te scetà
I’ me vurria addurmi
Vicino ’o sciato tujo’
’N’ ora pur’ i’.

Nel 1904 all’età di ventotto anni il poeta è ormai molto malato, a causa della tubercolosi contro la quale dovette competere fino alla morte. Non poteva sapere di essere giunto al suo ultimo anno di vita quando fece pubblicare Canzona Bella. Con questi versi egli riesce a parlare al cuore perché sa trasmettere l’incanto e il rapimento, della sua concezione favolistica dell’amore:
Bella, ca d’ ’e bellizze ca tenite
Facite mmiria ’e stelle ’e miez’ ’o cielo;
P’ ’o scuorno ’a luna già s’ha mis’ ’o velo
Pecchè cchiuù bella d’essa vui parite

Privo di fortuna, di istruzione e di salute, trovava ispirazione nella stessa miseria della sua vita con una freschezza di pensiero e una ricchezza di sentimento. Poi non ebbe più la forza di lavorare. Immobilizzato in un letto della vecchia casa paterna di piazza Mercato, riceveva solo le visite dei suoi fantasmi.
Si narra che un giorno appoggiandosi al braccio del cognato Gennaro Scarpato volle affacciarsi alla finestra per vedere entrare in chiesa, vestita dell’abito bianco di sposa, la coinquilina che lui, ammalato di tisi, non aveva avuto il coraggio di avvicinare. «Quant’ è bella», disse, «se non avessi avuto questa tosse, ora forse sarei io con lei su quell’altare». Ritornò a letto. Chiese penna e carta e, con mano tremante, scrisse
L’urdema canzona mia:
Nun me parlate cchiù de sciure e rose
Pe’ me ’sti rrose songo senz’ addore;
Nun me dicite: a giuventù è nu sciore.
Ca chistu sciore mio è muorto già
Pe’ me tutt’ è fernuto!
Addio staggione belle!
Addio, rose e viole!…
I’ve saluto.

Poi morì, chiudendo una vita in cui aveva cercato di volare alto con i sogni e la fantasia. Era l’11 giugno 1904. La musicò il maestro Edoardo Di Capua, il collaboratore indispensabile dei suoi successi. Èil suo lascito del delicato poeta alla sua amata Napoli, ai suoi colori, alla sua luce. La città lo volle ricordare apponendo una lapide commemorativa con l’epitaffio:
«A Vincenzo Russo (1876-1904). Qui scrisse i versi di canzoni che portarono nel mondo il nome di Napoli».

Bibliografia
Alberto Consiglio (a cura di), Antologia dei poeti napoletani, Milano, Mondadori, 1973
La canzone napoletana, Roma, Newton & Compton, 1995
Salvatore Palomba, La poesia napoletana, Napoli, L’Ancora del Mediterraneo, 2003
Vittorio Paliotti, Storia della canzone napoletana, Roma, Newton & Compton, 2004

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