Chi era Pulcinella?

La questione è dubbia e tuttavia in corso. Se s’indaga sull’etimologia del nome, Pulcinella veramente lascia sconvolti. Del resto Pulcinella stesso, stando a Corte di Enrico VII, sulla sua origine fu laconico: «so’ benuto da lu culo de lo Munno».
Chi sostiene che il suo nome derivi da un Pucio o Puccio d’Aniello; chi da un Paolo Cinelli, letto alla francese come “Polsinelli”; chi da un “Oddo o Odone di Policeno o Polliceno, nipote” nientemeno “di papa Martino IV, Cavaliere del Consiglio e Vicerè del Regno di Gerusalemme per Re Carlo I nel 1290”; chi che il suo nome deriva da “pulcinello” (pulcino) e ricorda le origini contadine del tipo (ma potrebbe essere dovuto anche alla sua caratteristica voce chioccia). Al pulcino rimanda pure la maschera nera col naso a becco, mentre il camicione bianco e la spatola sono l’ennesima variante del costume dei villani ripreso dagli zanni; chi che il suo nome, nell’etimo greco significhi: “molto movimento” e perfino: “sciocco di città”; chi che Pulcinella fosse un villano dalla battuta pronta, amante della buona tavola di un vino anche migliore, accodatosi a una compagnia di guitti e saltimbanchi di passaggio per Acerra; la segue e ne diventa, per la estrosità delle sue uscite, il capocomico e il portabandiera; e chi, infine, si trattasse di un falegname, un certo Mariotto Policenella, venuto a Napoli da Perugia qualche anno prima del 1603, che ingombrava e insudiciava con i rifiuti della sua officina le vie di accesso alle “stanze della commedia” (dove verrà edificata la chiesa di San Giorgio dei Genovesi), disturbando con “continui rumori” di seghe, asce, scalpelli i “conserti”, ossia le prove degli attori. Per cui, per vendicarsi, Silvio Fiorillo – il celeberrimo, in arte, Capitan Matamoros e padre di Pulcinella, giunto in Napoli nel 1609, su istigazione di Lucio Fedele, impresario delle “stanze” suddette e vittima di Policenella-Falegname, che gli aveva, per giunta, tolta dalla compagnia una delle migliori attrici, Giuditta Buonadonna, menandola sposa e rimanendone becco, decise di porre alla berlina quel “bruto, viliaco, porco, svergognato”. Questa è la tesi di Ulisse Prota Giurleo9, gran studioso della maschera napoletana. Ma ve ne sono altre, di scrittori ed eruditi della letteratura pulcinellesca, più semplici o più complesse.
Fausto Nicolini, insorse contro la versione del Giurleo per sostenere e difendere la sua tesi, quella che vuole Pulcinella erede degli “zanni” della Commedia dell’Arte. Costoro provenivano dalla campagna. Simboleggiavano il cafone inurbato e il camice bianco come il cappuccio o coppolone testimoniano l’origine povera e contadinesca. Quanto alla maschera simboleggerebbe la faccia abbronzata di chi lavora nei campi sotto la sferza del sole. Ma anche questo punto rimane assai dibattuto.
Benedetto Croce, nel suo celebre saggio su Pulcinella del 1898, scrisse che “il carattere di questa maschera è assolutamente indefinibile tanto diverse sono le sfumature dei suoi atteggiamenti, tanto vari sono gli ambienti in cui si muove, e i tratti psicologici con cui si presenta al pubblico”. Pulcinella si trovava: “dappertutto, come insegna di bottega (o in scultura o dipinto, talora uscente fuori da un mellone rosso aperto, talora anche le lettere del nome del proprietario formato da minutissimi pulcinelli), nei giocattoli, […] nei presepi, dove era raffigurato non molti lungi dalla grotta del Redentore” .
Anton Giulio Bragaglia, autore di Pulcinella così scrive: “A noi poco importa se Pulcinella discenda più o meno direttamente dagli antichi. Ci occupiamo di questo particolare perché tentiamo di ricostruire la sua storia: e ci compiacciamo di questa storia perché gli estri comici sono segni delle stirpe nostre; e noi riconosciamo, nelle sue misteriose riapparizioni, gli spiriti della razza, quasi come un ritorno di fisionomie ancestrali”.
“Il segreto di Pulcinella”, osserva un altro studioso della maschera, il Máscara, “potrebbe essere una specie di opinione religiosa, difficile a proibire in quanto proibita. Pulcinella, dunque, potrebbe essere un personaggio che si dichiara partigiano dell’ortodossia delle Sacre Scritture, ma da questo ad interpretare egli stesso il sacro Testamento vi è una grande differenza, un lungo passo che il suo limitato scibile popolano non permette di superare”.
Romeo De Maio, uno dei più convinti riabilitatori, ha centrato le sue riflessioni su Pulcinella e l’illuminismo. «Pulcinella è un’idea, un sofista che tiene all’ironia e alla scienza del probabile» 14scrive De Maio nel suo saggio che analizza la celebre Maschera in rapporto a temi universali come il linguaggio, la donna, la storia, il Cristo e fa emergere alla fine che patria di Pulcinella è il mondo, anzi il cosmo, e ancora oltre.
Per parlare di Pulcinella tra immaginazione e rappresentazioni si sono mobilitati anche studiosi francesi, spagnoli, tedeschi e inglesi. E tutti aggiungono qualcosa o la sottraggono, ma tutti sono d’accordo sull’indefinibilità psicologica di Pulcinella.
Non accenno alla strapotente erudizione sul suo pagliaccio bianco. Lo scopo della sua veste bianca è quello di «gonfiare», un buon costume di Pulcinella deve potersi riempire di aria, e sembra che il particolare abbia la sua importanza. O almeno, l’abbia avuta … Sulla forma del naso: quel grande naso, ricurvo poteva rispondere al bisogno di rafforzare la voce, di darle amplificazione sonora, secondo lo stile degli antichi commedianti latini.
Sulla mimica anti iettatoria: egli per esprimersi non ha bisogno di parlare. Gesticola, usa con straordinaria abilità la mimica del gesto; la danza, gli atteggiamenti, il linguaggio delle dita e delle mani in pure stile napoletano, pieno di tale inventiva ed efficacia da sostituire tranquillamente ogni sonorità vocale.
Sulla maschera nera che ricopre la parte alta della faccia, la parte pensante, non la parte parlante, che invece rimane totalmente scoperta. Forse la maschera ha un significato che alluderebbe al pensiero dell’uomo che la porta? Discussioni terribili di cui grondano e gronderanno le biblioteche.

Quanto poi alla celebrità di Pulcinella, essa oltrepassò le frontiere dei paesi di lingua italiana. Gli storici affermano che esiste un Polichinelle francese, arricchito di una grossa gobba; un Punch inglese, che secondo certi autori acquisì nel clima britannico un carattere freddo; un Puncinella tedesco, Hans Sausisse, (Gian Salsiccia) che conservando il noto appetito di cui era provvisto, cambia lo smisurato gusto dei maccheroni in quello per i salumi; un Pulcinella spagnolo, Don Cristobál, che per spagnolizzarsi assume il Don tanto caro al Cavaliere della Mancia; un Pulcinella austriaco, Kasperle, un Pulcinella olandese, Clichering; un Pulcinella russo, Petruschka , ed anche un Pulcinella turco: Karagôz.
E il miracolo di Pulcinella è questo: che rimane se stesso in tutte le culture che immedesima. E rimane il suo problema: ’e pecchè?

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