La Tradizione del Presepe

La nascita del Presepe
La Natività di Nostro Signore Gesù Cristo viene fatta rivivere per la prima volta a Greccio nella santa notte del 1223 dal poverello di Assisi, San Francesco, considerato pertanto l’iniziatore dell’usanza del presepe poiché «… in fondo al bosco che stava a ridosso del borgo, costrutta una stalla e postavi una mangiatoja con fieno … con un bue da una patte ed un asinello dall’ altra, convitò i villici ed i frati … con torchi accesi, fiaccole e musica, cantando inni di gloria al Signore …
E secondo l’antica leggenda francescana, una pia donna … e un cavaliere del contado … videro nel fieno della rastrelliera un bambino bellissimo il quale Francesco amorosamente covriva di baci …», episodio memorabile ricordato poi da Giotto nel ciclo di affreschi delle “Storie del santo”, ubicato nella basilica superiore di Assisi.
L’ordine dei Francescani ha avuto il merito di aver diffuso un po’ dovunque l’usanza di allestire il presepe natalizio, per diffondere il culto cattolico e avvicinare ed educare i fedeli. Avvenne cosi che
la devota consuetudine giunse anche a Napoli, città nella quale i Francescani posti sotto la protezione dei sovrani angioini fondarono diversi conventi, la regina Sancia nel 1340 fece dono all’ ordine delle Clarisse di un presepe costituito di statuine in legno policromato, delle quali tuttavia non resta che la Madonna giacente (Museo di San Martino, Napoli).
Seguendo questa linea, artisti di chiara fama come i fratelli Pietro e Giovanni Alemanno, realizzarono nel 1478 per la Chiesa di San Giovanni a Carbonara un presepe composto di circa quarantuno statue policromate a grandezza pressoché naturale, con pastori portatori di offerte e pecore, con sibille e profeti, disposti secondo un’articolata scenografia. Di questo presepe restano diciannove figure lignee grandi quasi al naturale, policrome.
Anche tra i Gesuiti e i Teatini si diffuse l’uso di allestire i presepi. S’ ingenerarono pertanto vere e proprie gare tra le chiese, nonché tra le comunità monastiche, nel possedere il presepe più bello, la cui realizzazione venne affidata, di consueto, a valenti artisti.
Nel corso del Cinquecento compaiono dei mutamenti; qualche timido accenno al paesaggio e i cani, le pecore, le capre, oltre all’asino e al bue da sempre affiancati alla sacra famiglia, Alla rigida statuetta in legno gradualmente subentra il manichino, anch’esso ligneo, dalle giunture snodate che, ideato in Germania e fatto conoscere poi a Napoli dall’Ordine gesuitico, offre la possibilità di atteggiare il personaggio in modo più articolato e di vestirlo con abiti, opportunamente realizzati in pregiate stoffe; si ricorre anche all’ impiego di parrucche con acconciature dell’ epoca, di occhi in vetro e delle parti nude policromate. Il tradizionale presepe devozionale napoletano durante il XVII secolo risente del gusto barocco e, in particolare, della tendenza all’allestimento spettacolare e all’interesse più marcato per il dato ambientale, arricchendosi, per tale via, di elementi e motivi di valenza laica e decorativa, che fanno da corona alla sacra rievocazione. Compaiono, quindi, i quadri scenici del mercato, delle taverne e di tutta la realtà circostante. l presepi di chiesa erano generalmente disposti in tre sequenze corrispondenti ad altrettante cappelle: nell’anfratto roccioso il Mistero della Natività; sulla destra i pastori che hanno ricevuto L’Annuncio dall’angelo e si incamminavano verso la grotta, e sinistra il Diversorium di memoria evangelica: la taverna.
L’esigenza di conferire movenze più sciolte e naturali ai diversi personaggi, in funzione di una rappresentazione variamente articolata, dà luogo, inoltre, verso la fine del Seicento, all’ invenzione da parte di Michele Perrone, artista napoletano, di un manichino affatto mobile costituito di una struttura in filo di ferro rivestita di uno spesso strato di stoppa, al quale poi si applicavano testa, mani e piedi scolpiti dapprima nel legno, ma in seguito, nel corso del secolo successivo, realizzati anche in terracotta.
Questa idea semplificò il lavoro artigianale, consentendo una più ampia produzione di pastori che si offrivano a essere liberamente atteggiati secondo l’estro creativo dell’artista, in perfetta consonanza con la scenografia connotata da una generale tendenza alla teatralità.

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