Pasquale Cinquegrana

Pasquale Cinquegrana è considerato uno dei poeti più amati nel panorama della canzone napoletana. Nato a Napoli il 21 aprile 1850 trascorse la sua infanzia fra i muri di un’antica casa di via Santa Maria in Portico, dalle parti della Riviera di Chiaia, verso il mare. Aveva un unico fratello, Francesco, più giovane di lui di qualche anno che, per decisione paterna, fu mandato a lavorare in bottega mentre soltanto a lui gli fu permesso di studiare. All’età di diciotto anni, proprio il giorno della morte del padre, Pasquale Cinquegrana conseguì l’abilitazione magistrale e subito dopo si dedicò all’insegnamento nella scuola elementare di via Sette Dolori destinata ad essere la sua seconda casa per ancora cinquantuno anni.
Il poeta era un uomo timido, schivo, frequentava soltanto una farmacia a San Carlo alle Mortelle e soltanto in quella farmacia incontrava qualcuno. Non aveva trent’anni quando sembrava quasi un vecchio. Un giorno fu una ragazza a risvegliarlo alla vita, la figlia di un capitano di marina, Maria Lazzarini. Per Maria Cinquegrana cominciò a scrivere per la prima volta versi di passione che culmineranno il 30 giugno 1886 in un matrimonio.
Spinto, incoraggiato da Maria, il timido maestro si decide a mettere in rima cose adatte ad essere musicate e cantate. Il primo successo arrivò già nel 1887 con Capille d’oro, affascinante ritratto di una ragazza che Di Capua rivestì di accattivanti note e che entusiasticamente l’editore Santoianni acquistò:
Pe’ ’sti capille d’oro, bella mia,
’Nu turco cristiano se farria;
E qualche cristiano ca ce crede,
Pe’ sti capille pederria la fede.

Due anni dopo, nel 1889, fu poi la volta di ’E Bersagliere, in onore dei fanti piumati acquartierati nella caserma di Pizzofalcone. Questa canzone musicata da Eduardo Di Capua, divenne popolarissima e gli stessi bersaglieri la cantavano come inno fuori ordinanza:
E bersagliere vonno
’penne p’’e cappielle …
Uh! Quanta capuncielle
e galle aimma spennà.
E so’ belle’ e bersagliere

Ma il primo e maggior successo di Pasquale Cinquegrana fu Furturella. È un piccolo gioiello nel panorama della canzone classica napoletana scritta nel 1894 e musicata dal genialissimo Salvatore Gambardella che non era un musicista, era un garzone di bottega, nel negozio di ferramenta di Vincenzo Di Chiara, un personaggio a dir poco straordinario: il più illustre rappresentante di una generazione di compositori napoletani che creavano melodie senza conoscere la musica.
Furturella non è altro che il nomignolo con cui Cinquegrana definisce la bella Fortuna, una ragazza che l’autore riempie di elogi e di complimenti, anche maliziosi. I suoi versi sono freschi, genuini:
Tien’ ’a vetélla cumma vucchella, Furturè’ …
Peccerenella, peccerenella, Furturè’ …
’Sta bella schiòcca de rose scicche, Furturè’ …
ca tiene ’mmocca, chisà a chi attocca, Furturè’ …
’Sta bionda trezza chiena ’e bellizze, Furturè’ …
mme fa ascì pazzo, guardà nun pòzzo … Furturè …
Che dice, che faie?
che pienze … mma daje?
Furturè’ …

Furturella fu apprezzata da grandi personaggi della musica classica del tempo. Suscitò, l’ammirazione di Giacomo Puccini il quale si espresse in questi termini: «la canzone ha una progressione musicale discendente degna del più grande musicista classico». Pietro Mascagni, il celebre compositore e direttore d’orchestra livornese, ne rimase estasiato al punto da affermare: «Nessun musicista al mondo ha risolto in maniera tanto ardita una scala semitonale come l’incolto popolano che ha fatto il ritornello di Furturella».
L’anno successivo, 1895, ritroviamo il poeta Cinquegrana con il musicista Giuseppe De Gregorio autori del brano Ndringhete n’drà! Il brano si concentra sulla figura della bella acquaiola, che «venne ll’acqua gelata» Carmenella, oggetto di passione dei tanti, ma che nessuno riesce a conquistare:
Carmela è ’na bella figliola
Venne l’acqua gelata ’a stagione
Cumme spriemme ’stu bellu limone,
Tu me spriemme ’stu core, Carmè!
Tutt’ ’a vonno ’sta bella acquaiola
E nisciuno s’ ’a piglia … Pecché?
Pecché? … Pecché … ndringhetendrà! …
Mmiez ’o mare ’nu scoglio ce sta!

La canzone avrà un successo clamoroso e, soprattutto, inaspettato per l’umile maestro elementare costretto a dare ripetizioni pomeridiane per arrotondare il magro stipendio. E’ un trionfo anche Napule bello, musica di Giuseppe De Gregorio, il brano con cui nel 1898 Cinquegrana vincerà il concorso bandito dal periodico delle Edizioni Bideri “La tavola rotonda”:
Napule è comm’ ’a femmena
te fa’ venì ’o gulio
apprimma: core mio
e doppo: frusta llà!

Poi è la volta di ’A cura e mammà, un componimento giocoso da cafè chantant, ma di ottima fattura, musicata ancora da Giuseppe De Gregorio. In a Luntananza, invece, musicata da Eduardo Di Capua, è rappresentato il mondo del pudore, della semplicità, delle piccole cose. Qui la donna è come una fragile e delicata creatura da proteggere e rispettare:
Quanno ce salutajemo,
’nu m’ ’a scordo maje;
parlare ce vulevame,
m’ ’a voce ce mancaje.

Perfettissimo, sempre: nella nenia e nella tarantella, nella strofa passionale e nella macchietta: da Nennella mia a ’O mbriaco, daUocchie ’ammènnole a Montevergine, da ’O sentimento, a Nennella mia, da ’A galleria nova, a Faciteme cantà, da ’O primmo ammore a Fenesta ’ntussecosa.
Nel 1920, all’età di settant’anni fu mandato in pensione. Aveva scritto centinaia di canzoni, diversi testi scolastici e alcune commedie, e con la stessa tenacia continuò il suo lavoro. Un’ultimissima fatica volle eseguirla il 21 aprile 1939, il giorno in cui compiva ottantanove anni, chiamando intorno a sé i figli e componendo in loro presenza una poesia dal titolo Francia e Inghilterra, contro le false democrazie. Si spense sei giorni dopo, il 27 aprile 1939.

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