Le guglie

Nel centro storico la dimensione teatrale, caratteristica del gusto barocco, è costituita dall’ erezione delle numerose guglie devozionali, destinate ad esorcizzare il pericolo dell’eruzione e della pestilenza. Sono obelischi ridondanti di decorazioni, autentiche “macchine” da festa in marmo che nel XVII secolo vanno ad innestarsi sul grande palcoscenico urbano a rappresentare il segno del rinnovamento.
La più antica di queste è quella di San Gennaro, in piazza Sisto Riario Sforza o «piazza della Guglia», la piazza barocca più importante della città, dove si svolgevano per tradizione, con addobbi luminarie e rappresentazioni in musica e di teatro sacro, i festeggiamenti esterni dedicati a San Gennaro. Fu eretta in segno di ringraziamento al santo patrono per aver salvato la città dall’eruzione del Vesuvio del 16 dicembre 1631.
L’incarico della guglia, alta ventiquattro metri, viene affidato agli artisti più prestigiosi del momento, con responsabilità ben distinte, all’infaticabile Fanzago, il compito di curare l’architettura e l’ornamentazione, a Finelli quello di modellare e fondere la statua del Santo che vengono rispettate fino al completamento dell’opera che fu inaugurata il 16 dicembre 1660.
Nel pieno centro storico in piazza San Domenico Maggiore troviamo la Guglia di San Domenico destinata a cantare le glorie del Santo e del suo Ordine, a ricordare ai napoletani la sua decisiva intercessione per far cessare la peste del 1656. Eseguita su commissione dei Domenicani, venne progettata in primo momento da Cosimo Fanzago che vi lavorò tra il 1656 e il 1658. Tuttavia, già nel 1658 i lavori della guglia di San Domenico furono affidati a Francesco Antonio Picchiatti, che mantenne l’incarico fino al 1670. Tale passaggio di consegne fu determinato dalla rilevazione di un antico muro di cinta greco coi resti della porta Cumana rinvenuti durante gli scavi delle fondamenta; ciò suscitò l’attenzione dei domenicani, che liquidarono Fanzago e nominarono Picchiatti architetto del cantiere. Quest’ultimo modificò sensibilmente il progetto originario, di cui peraltro restano tracce parziali solamente nell’ornamentazione della base in marmo e bardiglio.
L’ultimo intervento avvenne nel secolo successivo e precisamente nel 1737, quando Domenico Antonio Vaccaro, nominato architetto del cantiere, provvide a modificare ulteriormente le idee di Fanzago e Picchiatti in modo da giungere ad una migliore integrazione delle parti ideate dai suoi predecessori.

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